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microstoria spesso dimenticata, seconda guerra mondiale, Sicilia, storia della gente, storia nei libri
Ottobre 1944: i grandi del tempo tessevano ancora la trama fitta della guerra, mentre i piccoli del tempo morivano o cercavano di avere una voce. La strage del pane fu l’umiliazione di gente provata non solo dalla fame, dalla povertà, dalla distruzione. Fu l’umiliazione di non potere avere la possibilità di esprimere la rabbia, la stanchezza, il dolore stratificati nella mente e nel cuore, nelle ossa e nello stomaco. Perché si ha bisogno del pane ma la dignità di un uomo si costruisce anche, si innalza anche sul diritto ad avere una voce.
La strage del pane
Se volessi raccontare Palermo e la Sicilia
le botti di sangue che bagnano pietre piccole e grandi
che come fiume correrebbe e forte scorrerebbe violento
il fiume Oreto scomparirebbe e cambierebbe colore
pure il mare…se la storia provasse
ad andare a scuola, fare di conto, sommare croci
di morti senza nome né peccato…
Dovrebbe mettersi rannicchiata
come se contasse i peli dell’aglio
le stelle in cielo, le onde del mare
che numero, peso, misura non hanno…
come mai nei secoli…peso e misura ha mai
dato la storia, la giustizia, a tutte le stragi
rubando memoria al tempo, alla gente!
Quella che ora vi racconto è una di tante…
Era il 19 d’ottobre del millenovecento
quarantaquattro, io avevo otto mesi.
Mia madre, domestica, non poté andare
a scioperare, a gridare, insieme
ai tanti morti di fame, che la miseria
teneva legati, come asini alla catena!
A mia nonna però, femmina senza scuola,
bastava un bicchiere di vino per sciogliere
lingua e pensieri…filosofa diventava:
“Mi sembra come fosse stato ieri, quei maledetti,
hanno avuto il coraggio di sparare a gente
come me: otto figli, il marito disperso
in guerra e la fame che usciva dalle orecchie.”
Raccontava mia nonna, di uomini, donne
ragazzi e bambini che correvano
impazziti, con gli occhi di fuori per la paura
dimenticando anche la fame, tra sangue
bombe e morti ammazzati, squartati
come agnelli pasquali…solo perché
chiedevano pane, lavoro, libertà!
Ora la storia la sappiamo tutti, non tutti
però sanno che sono venuti i pompieri
per lavare il sangue incrostato in via Maqueda,
sangue che ancora bolle, grida, sangue di madri,
di anime innocenti che hanno ancora fame,
ma solo di giustizia, leggi volate in aria
hanno lasciato macigni dentro il petto…
Macigni che pesano dentro il cuore di chi sa
infami menzogne…di chi dopo tre anni
nel giro di due giorni, per ordine di chi non si sa
hanno chiuso il processo dicendo:-Bastardi
assassini qua non ce n’é… E’ stato eccesso di zelo…
Soldati armati, che dovevano difendersi
dalle solite teste calde dei siciliani…”Sobillatori!”-
“Sobillatori!”, ricomincia amara mia nonna
finendo il bicchiere di vino che ha davanti…
“Sobillatori!”…donne, bambini e ragazzi
che avevano tutti meno di vent’anni!
Michela Rinaudo (Lina La Mattina), poetessa siciliana.
«Da via Maqueda -citiamo da Fortuna e Uboldi- il corteo degli scioperanti muove verso il Comune, che è retto da un commissario prefettizio, il barone Enrico Merlo: in seguito, travolti i cordoni di polizia, si dirige verso la Prefettura dove in assenza del prefetto il suo vice, dottor Pampilonia, chiede aiuto al comando del Corpo d’armata di Palermo. La richiesta è pressante: il comando del Corpo d’armata invia un contingente di militari della divisione Sabauda, che è comandata dal generale Castellano, l’uomo dell’armistizio di Cassibile. Giunti alla Prefettura, i soldati ritengono di trovarsi di fronte a una sommossa, fanno uso delle armi. Vengono uccisi novanta dimostranti; un centinaio di feriti.»
Indro Montanelli, STORIA D’ITALIA, Edizione speciale per il Corriere della Sera, Milano, 2004, vol. 9, pag. 160-161